Forno, amico mio
A casa sono assecondata da strumenti meccanici. La lavatrice mi libera da un lavoro faticoso e mentre gira, mi posso dedicare ad attività più gratificanti. È un’invenzione utilissima. Pensare alle bisnonne che si recavano al lavatoio con la cesta di panni da strofinare…
Diversi anni fa, avevo una lavastoviglie. Si è ammalata, l’ho licenziata e non l’ho sostituita. Le amiche non capiscono: “Sei impazzita: tutto a mano. Come fai senza? In questo modo consumi più acqua. È tanto comoda! Vedrai, un giorno, la ricompri.” Bla…bla… Ne faccio benissimo a meno. Non ne sento la mancanza perché non l’ho mai veramente integrata. L’ho accolta con indifferenza. L’avevo accettata come parte del corredo di una cucina moderna, non come un elemento necessario al mio spazio domestico. Lavorava poco. La lasciavo frullare al posto mio per le cene importanti, quelle con molti ospiti; altrimenti, quasi sempre me la sbrigavo da sola. Nel cucinare non sono minimalista: devo aver a disposizione tutte le mie pentole, padelle e casseruole. Quando una di esse mi serviva ed era intrappolata nella pancia della lavastoviglie, mi toccava aspettare la fine del ciclo di lavaggio per recuperarla. Ridicolo! Senza parlare del prelavaggio a mano necessario per disincrostare; cioè pulire già le stoviglie prima di introdurle nella lavastoviglie. Interessante! Adesso è probabile che il lavapiatti meccanico sia più performante di prima; non m’interessa nemmeno saperlo. Non lo voglio più, l’ho cassato.
Il mio rapporto con il forno è ben diverso. Per me, è uno strumento capitale. Alcuni lo riducono a un freddo armadietto, un posto dove impilare pirofile varie. Io l’accendo quasi tutti i giorni. Nonostante il piano cottura mi sia indispensabile, metto il forno al primo posto per ordine di importanza. È insostituibile: senza di lui, mi sento monca. Se rinunciare alla lavatrice sarebbe follia, rinunciare al forno sarebbe sofferenza.
Quest’amico dalla pelle grigia lucida è complice delle mie faccende culinarie. Ancora assopito, mi sente mentre faccio colazione e si chiede se durante la giornata avrò bisogno dei suoi servizi. Non è di natura permalosa, è conciliante: se un giorno faccio a meno di lui, non se ne offende. Aspetta fiducioso. Quando gli do il via, i suoi occhietti senza palpebre s’illuminano in un lampo. Di colpo si attiva e il suo respiro, finallora inaudibile, si percepisce. Il suo ventre diventa una caverna infuocata, la sede di metamorfosi. Magia del calore, alchimia degli ingredienti. Non consuma il cibo che gli inviscero; lo trasforma. Come una divinità, si nutre di effluvi. Si gode i profumi sprigionati dagli alimenti che cuoce. L’impegno lo rende loquace, lo fa sentire utile. Bisbiglia quando gli confido le melanzane alla parmigiana; fa le fusa quando prepara il pollo allo spiedo. Si gongola quando cuoce la torta di mele, è fiero di fare gonfiare il pane. Scherza con me: si diverte ad appannarmi gli occhiali o a riscaldare la mia collana quando mi chino ad aprirgli la bocca per estrarre il frutto del suo lavoro. Anche se è ubbidiente ed esegue fedelmente i miei ordini, di tanto in tanto lo sgrido. È ingiusto rimproverargli di aver bruciato il gratin o di non aver conferito abbastanza volume al pan di Spagna. La colpa è solo mia: gli ho dato istruzioni sbagliate oppure gli ho lasciato custodire la pietanza troppo a lungo. Sotto un’apparenza docile e placida, nasconde un bel caratterino. Se prendo troppa confidenza, mi risponde facendomi dei graffi scottanti che lasciano il segno a lungo sulla pelle. Gli piace aiutarmi ma pretende il rispetto, vuole mantenere una certa distanza. Mi trasmette alla sua maniera il concetto: “Sono al tuo servizio ma non sono il tuo servo.”