Una qualità?

È delicato rovistare fra gli apprezzamenti altrui nei miei confronti. Da che parte guardare: quando gli altri sono infuriati contro di me o quando, in tempo di concordia, mi lodano? Ovvio, è più gratificante selezionare la seconda. Piacevole spalmarsi i complimenti, usurpati o meritati che siano, lasciando perdere i difetti. Però, sarebbe brutto rovesciarmi addosso i fiori che alcuni mi hanno regalato. Riportare per iscritto giudizi favorevoli sembra puro atto di presunzione, è una via traversa per lodare me stessa. Che discorso, non sono insensibile ai complimenti; mi mandano in solluchero ma non mi sento di esporli, non tocca a me farlo.  Una virtù smette di essere tale quando viene esibita. Così una persona che si autoproclama generosa, di solito, non lo è. Fa la promozione della sua generosità nel timore di essere considerata tirchia.

Sono più al mio agio con i difetti. Non ho difficoltà a confermare che sono orgogliosa, suscettibile, cocciuta…la lista è lunga. Né pregio assoluto, né difetto palese, insomma a metà strada fra pregio e difetto, spunta una qualifica che mi attribuiscono in diversi: dicono di me che sono precisa. Non lo posso negare, è un dato di fatto, non sempre un vantaggio perché richiede tempi allungati e mi porta sulla strada del perfezionismo. In quanto la perfezione non esiste, volere raggiungerla è causa d’insoddisfazione. Sarebbe stato più confortevole essere sbrigativa, attaccarsi meno ai dettagli, ma non mi posso cambiare, sono fatta così. Plagiando Prévert: “Je suis comme je suis/ je suis faite comme ça”.

Ebbene, se vedo un quadro storto sulla parete, mi dà fastidio; ho voglia di raddrizzarlo. Quando disegno, non conservo il tratto iniziale, lo modifico innumerevoli volte, ritocco qua e là. Convinta che potevo fare meglio, non rimango mai del tutto soddisfatta. In cucina, mi soffermo nel presentare i piatti, cancellando una sbavatura di salsa, abbinando i colori delle verdure, aggiungendo un filo di prezzemolo. Confeziono un regalo scegliendo una carta piuttosto che un’altra, un fiocco invece di un nastro in modo da adattare l’involucro al suo contenuto e al destinatario.  Nello stirare, sono buffa e irrazionale. È un’attività domestica che non mi va a genio. Accumulo montagne di panni ma quando ho in mano il ferro da stiro, non posso fare a meno di eliminare ogni pieghetta invece di velocizzare il compito.

La mia precisione non si ferma in superficie, all’aspetto esteriore delle cose. Se m’interessa un argomento, voglio addentrarmi il più possibile nei particolari. Per me, non ha senso sorvolare il soggetto; cerco di capire in profondità. Quando scrivo, mi piacerebbe trovare la parola giusta, la formula più azzeccata per tradurre il mio pensiero. Apro spesso il vocabolario anche se non basta.

Da dove scaturisce questa mia inclinazione? In buona parte, da mio padre, credo. Quando ero piccola, l’osservavo. M’impressionavano la sua minuziosità, la sua abilità e precisione nel realizzare oggetti ideati dalla sua vena creativa. Mi colpiva quando si applicava a trascrivere con una penna sottilissima, didascalie sulle sue diapositive. Anche il mio maestro di seconda elementare ha svolto un ruolo importante: è all’origine della mia fascinazione per il mondo dei lessemi. Ci spronava a consultare il vocabolario per memorizzare la grafia delle parole, per riflettere su loro significato, per scoprire parole nuove. Era preciso e voleva insegnarci a esserlo. Seguivo i suoi consigli alla lettera; ero così assidua nella caccia al vocabolo, che mi aveva sopranominata “il suo piccolo dizionario”.                                            

                                                             Joëlle

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